domenica 14 settembre 2008

UN MARE DI PETTEGOLEZZI


Questa favola è stata scritta insieme a Daniele Tavano che quest'anno ha iniziato a frequentare la scuola media.

La spiaggia era dorata e solitaria. Tutto sembrava tranquillo. Ma era solo una tranquillità apparente. Nel mare i pesci erano in subbuglio, nuotavano freneticamente da una parte all'altra perchè avevano saputo che il feroce squalo Onofrio aveva i denti cariati e quindi per un bel pò sarebbero stati tranquilli. Il pesce palla, famoso per i suoi pettegolezzi, rimbalzava da una parte all'altra gridando a squarciagola: "Edizione straordinaria! Edizione straordinaria! Lo squalo ha i denti cariati perchè non li ha mai lavati!" Il pesce pagliaccio, per fare onore al suo nome, imitava lo squalo con i denti cariati facendo ridere tutti gli altri pesci.
Lo squalo Onofrio era molto arrabbiato: aveva fame, il dolore era insopportabile ma soprattutto non voleva essere considerato uno sciattone che non si lavava i denti. Ne andava della sua reputazione!
Perciò si recò dal polipo e gli disse: "Devi riferire a quel pettegolo del pesce palla che io mi lavo sempre i denti e quando il pesce dentista mi avrà curato lo sbranerò in un solo boccone!"
Il pesce palla, preoccupato per la sua incolumità, ma volendo apparire impavido con gli altri pesci, ricominciò a spettegolare con il pesce pagliaccio raccontandogli che lo squalo aveva minacciato di sbranarlo ma solamente perchè la paura del pesce dentista lo rendeva nervoso. In realtà, il pesce palla temeva veramente che, dopo le cure del pesce dentista, il bestione l'avrebbe mangiato in un sol boccone. Per confondere le acque (si fa per dire) si recò quindi dal pesce dentista dicendogli:"Lo squalo ha detto che dopo che l'avrai curato ti sbranerà!"
Il pesce dentista, a sua volta terrorizzato, non sapeva cosa fare : curare o non curare...questo era il dilemma. Ma qualunque decisione gli veniva in mente lo portava irrimediabilmente nella pancia dello squalo.
Quando quest'ultimo arrivò, nervoso e sbuffante, chiedendogli di curare i suoi dentoni, il pesce dentista, tremante gli disse :"Non ricordo più dove ho messo le pinze e le tenaglie e quindi non posso curarti."
Lo squalo, sempre più accecato dal dolore, si arrabbiò e con un colpo di pinna costrinse il pesce dentista a rinfrescare la sua memoria in un battibaleno. Il pesce dentista, lemme lemme, si accinse a curare lo squalo. Sudando sette camicie, sbuffando e imprecando estrasse i due grossi dentoni anteriori di Onofrio.
Lo squalo si sentì improvvisamente sollevato: il terribile dolore era passato! Si guardò in uno specchio d'acqua ed al posto dei due dentoni vide però due orribili buchi : la sua reputazione di predatore dei mari era a repentaglio. Sarebbe stato additato come un mangiatore di semolino!
Disperato si prese la testa tra le pinne. Il pesce dentista, impietosito, aiutato dal pesce sega prese due grossi pezzi di corallo bianco e grazie al pesce lima ottenne due grossi dentoni finti bianchi e splendenti. Un vero capolavoro. Con il pesce martello li inserì al posto dei denti mancanti. Quando il lavoro fu finalmente concluso lo squalo si guardò nello specchio d'acqua: si piacque così tanto da pensare di acquistare ulteriore fascino facendosi crescere due bei baffoni neri. Sarebbe stato un predatore rubacuori!
Il pesce dentista, nel frattempo, aspettava impaurito di finire nelle fauci di Onofrio. Chiuse gli occhi in attesa della fine. Sentì invece un deciso colpetto di pinna ed un sommesso grazie. Dopodichè lo squalo Onofrio si allontanò nei gelidi abissi marini. Il pesce dentista, rianimatosi immediatamente e felice di essere ancora vivo, capì che lo squalo non era poi così cattivo e come tutti i pesci mangiava gli altri solo per poter sopravvivere.
Si recò pertanto dal pesce palla e dal pesce pagliaccio dicendo ad ambedue che con il loro comportamento avevano semplicemente dimostrato di essere due pettegoli poco affidabili. I due pesci capirono di aver sbagliato e da allora impararono a farsi i fatti loro.

Adima Gabriela e Daniele


domenica 18 maggio 2008

TUTTI INSIEME AFFETTUOSAMENTE


La strega Mantù aspettava stizzita sotto la grande quercia le altre streghe. Erano in ritardo e lei, pignola com'era, sbuffava come un mantice.
Finalmente le vide arrivare a cavallo delle loro scope di saggina. Sembravano agitate, parlavano in modo concitato. "Galline"-pensò Mantù-"sembrano solo tante galline!"
Le streghe planarono sul prato e non la degnarono di uno sguardo:"Sono anche maleducate!" ripensò Mantù. Si accostò a loro e capì il perchè del loro comportamento: avevano tra le braccia un neonato piccolo e paffuto. L'avevano trovato abbandonato nel bosco e preso con loro. Mantù sbuffò e gridando chiese:"Cosa pensate di fare! Non potete tenerlo! Voi siete delle streghe, non delle bambinaie. Riportatelo dove l'avete trovato!"
Le streghe si rifiutarono di obbedirle. Nel bosco il bimbo sarebbe stato divorato dagli animali feroci. Pertanto l'avrebbero tenuto con loro. Glielo dissero a muso duro e Mantù si arrese alla loro ferma decisione. Ma disse chiaramente che avrebbero dovuto provvedere loro al neonato perchè lei non voleva seccature di tal genere.
Arrivò la notte. Il piccolo, anzi la piccola, iniziò a piangere con forza. Aveva fame. Le streghe, tutte agitate, si alternarono, riuscirono a procurarsi il latte da una capretta ma la notte fu alquanto movimentata e interminabilmente lunga. Bisognava cambiare la neonata, darle il latte, ricambiarla, farle la ninna nanna, ricambiarla ancora e ancora...era proprio un duro impegno...
Stremate le streghe decisero di ricorrere alla magia ed in un attimo apparvero culla , panni puliti, latte di capra, creme al miele, mentre loro , come tante mamme affettuose, ogni due ore si davano il cambio per accudire e coccolare la bimba.
La neonata gorgogliava soddisfatta , aveva gli occhi azzurri ed intensi e per tale motivo le streghe la chiamarono Zaffira.
Mantù fremeva, la piccola aveva ormai irrimediabilmente scombussolato la loro vita. La bimba però le piaceva . Di nascosto la osservava e quando un giorno Zaffira le strinse un dito qualcosa di strano sconosciuto si smosse dentro di lei. Poi si vergognò della sua debolezza e riprese la sua espressione arcigna, ma solo per un pò. L'importante era non far trapelare con le altre streghe il suo sentimento d'affetto per la bimba. Non voleva rimetterci la sua reputazione.
Passarono i mesi e gli anni. Zaffira cresceva felice, ci furono varie ricorrenze: il primo dentino, i primi passi, la prima caduta, la prima parola: mamma. Le streghe, alla parola mamma si sentirono felici, anche Mantù , che in cuor suo amava la piccola e non poteva più fare a mano della sua presenza. Zaffira fu mandata a scuola dal Gufo della foresta. Era intelligente e curiosa, divenne subito una brava allieva. Era anche molto vivace e spesso le piume del Gufo risentirono di tale vivacità. Il Gufo non era preparato ad affrontare un tale impegno, ma temendo che le streghe potessero trasformarlo in un lombrico, ce la mise tutta.
Passarono gli anni. Zaffira era ormai un giovane fanciulla bella ed intelligente. Un giorno conobbe un giovane fattore e con lui l'amore. Le streghe notarono l'aspetto trasognato della ragazza e capirono che entro breve Zaffira le avrebbe lasciate. Il pensiero le spaventò, spaventò anche Mantù che in tutti quegli anni aveva sempre protetto la fanciulla da tutti i pericoli, in modo attento e discreto.
Seppur a malincuore capiva che ora Zaffira doveva volare via da sola, come tutti i bambini che diventano improvvisamente grandi.
Zaffira arrivò un giorno con il giovane fattore per presentarlo alle "sue mamme". Il fattore quando vide tutte le streghe si spaventò e pensò:"Va bene una suocera...ma sei tutte insieme...!"
Dopo guardò Zaffira e capì che se lei era una creatura così speciale lo doveva sicuramente al gruppo di streghe che con tanto amore l'aveva allevata . Le guardò meglio e non vide più facce rugose e nasi adunchi , ma occhi profondi e amorosi che guardavano con intenso affetto Zaffira.
Capì che le loro vite erano ormai intrecciate per sempre e si sentì felice.
Adima Gabriela






venerdì 25 aprile 2008

PIEDI, PIEDINI, PIEDONI


La giornata primaverile era calda e soleggiata. Rachele decise di raggiungere le sue amiche sulla spiaggia per trascorrere una giornata all'aperto, all'insegna dei giochi.
Arrivò di corsa sulla spiaggia, buttò le sue scarpe accanto ad un cespuglio ed assaporando il contatto della sabbia sui piedi nudi, giocò a lungo con le sue amiche.
Alla fine, stanca per le continue corse, decise di rientrare a casa. Cercò le sue scarpette ma non le vide. Preoccupata di dover camminare scalza le cercò con una certa apprensione ma non le trovò da nessuna parte. Si guardò attorno ed alla fine le vide...camminavano da sole!
Con un balzo le afferrò ma le scarpe non camminavano da sole...dentro c'era un piccolo gnometto che, spaventato, le morse un dito. "Ahi! Oltre che un ladro sei anche violento!"disse Rachele. Lo tenne stretto e le scarpe caddero sulla sabbia facendo intravedere due piedoni sproporzionati per la piccola statura dello gnometto.
"Ma cosa...?"disse Rachele stupita. Lo gnometto, vergognandosi, finalmente rispose:"Ho i piedi come i tuoi, ma sono alto quanto uno scoiattolo. Non ho delle scarpe adatte ed ho preso in prestito le tue. Scusami".
Rachele capì il disagio dell'omino e dolcemente gli disse:"Non preoccuparti. Ora però puoi spiegarmi l'origine di queste...ehmm...scialuppe?
L'omino, non senza difficoltà, spiegò che non si ricordava più dove aveva lasciato la scopa magica della strega Lucilla e questa, indispettita, aveva deciso di fargli crescere i piedoni con l'intento di farlo camminare scalzo. L'incantesimo avrebbe avuto fine solo dopo il ritrovamento della scopa. Rachele si impietosì e decise di aiutare il buffo omino, non solo per riavere le sue scarpe, ma per solidarietà nei suoi confronti. Era una bambina generosa, sempre pronta ad aiutare i più deboli. L'unico problema era quello che non aveva la minima idea di dove fosse la scopa magica. Rachele parlò a lungo con lo gnometto e si fece spiegare, in modo dettagliato, tutti i suoi movimenti precedenti , così da fare a ritroso il percorso che forse avrebbe fatto ritrovare la scopa.
Con lo gnometto rifece tutta la strada, dalla spiaggia al boschetto, fino alla grossa quercia. Niente!
L'omino era in piena crisi, andava avanti ed indietro in modo buffo, dondolandosi sui piedoni. Spesso inciampava. Cercava con tutte le sue forze di ricordarsi dove avesse appoggiato la scopa magica finchè, ad un certo punto, scoppiò a ridere...Rachele lo guardò perplessa ...Era forse impazzito? L'omino continuava a ridere steso sull'erba: si teneva la pancia e scalciava in aria con i piedoni. Quando finì disse:"La scopa l'ho lasciata nella legnaia perchè volevo spazzare il pavimento prima di sistemare gli altri pezzetti di legno. I miei amici mi hanno chiamato ed io mi sono completamente scordato della scopa. Il percorso a ritroso mi ha veramente aiutato. D'ora in poi lo farò sempre quando la memoria mi tradirà. Ora chiamiamo la strega. Lei ci sente benissimo anche quando non è nei paraggi.
Chiamarono, chiamarono...fino a sgolarsi. Finalmente la strega Lucilla arrivò trasportata da un nero uccellaccio. Quest'ultimo, senza tanti complimenti, la scaraventò per terra. La strega lo chiamò bestiaccia e lo guardò con rabbia. Da quando quell'uccellaccio le dava dei passaggi il suo fondoschiena era sempre dolorante e pieno di lividi...
Senza un minimo di grazia si riprese la scopa e bofonchiando strane formule, liberò lo gnometto dall'incantesimo. Gli regalò anche un paio di scarpine... vecchie chiaramente! Finalmente salì sulla scopa e sparì dall'orizzonte.
Rachele, soddisfatta, saluto lo gnometto con un sonoro bacio sulla guancia minuta, si infilò le sue scarpe e ritornò a casa.
Che strana giornata! Da non dimenticare.
Adima Gabriela

giovedì 6 marzo 2008

IL GIORNO FATALE

Il maiale, la mucca e l'asino, nascosti dietro il muretto, erano preoccupati che qualcuno potesse scovarli. Il galletto nero fungeva da guardiano, pronto a segnalare se la padrona della fattoria si aggirava nei paraggi.
Il giorno fatale era infatti arrivato e le povere bestie volevano evitare la solita tortura annuale inflitta loro dalla padrona. Erano stanche delle prepotenze della donna e mai e poi mai avrebbero passivamente accettato i suoi soprusi. Vedevano in lontananza il fumo uscire dal comignolo....l'acqua sicuramente stava bollendo ...Avevano fatto bene a scappare dalla fattoria!
Le bestie, tra loro vicine vicine, si guardarono negli occhi in cerca di conforto. Ad un certo punto l'asino, rivolto al porcello, esclamò:"Certo che puzzi veramente tanto..mi stai asfissiando!"Il porcello risentito , invece di pensare al suo olezzo gli rispose:"Anche la mucca puzza! E pure tu!" La mucca, notoriamente calma, si infuriò ed indispettita girò il muso imbronciato.Le bestie continuarono a litigare, ognuna rimarcando il cattivo odore dell'altra, con un tale fracasso che alla fine la padrona della fattoria le trovò. A furia di schiamazzare non avevano sentito il galletto che tentava di avvisarle della presenza della donna.
Quest'ultima brandiva qualcosa in mano e gli animali capirono che per loro era la fine. Si appiattirono contro il muretto, scordandosi dei loro rispettivi e caratteristici olezzi.
La padrona si avvicinò e dopo averli guardati chiese in modo perentorio:"Chi è il primo?" La mucca e l'asino indicarono tremanti il maiale che a sua volta, con una occhiata velenosa, fece loro capire che erano dei traditori. Lemme lemme seguì la padrona, sembrava un vecchietto tanto strascicava le sue grasse zampone...la mucca e l'asino si sentirono in colpa, ma superarono in un battibaleno tale sensazione pensando che tanto anche a loro sarebbe spettata la stessa identica sorte.
Il maiale arrivò alla fattoria: l'aspettava l'acqua bollente e non solo...La padrona prese un grosso mastello, vi mise dentro l'acqua bollente e senza tanti complimenti infilò dentro il maiale. La bestiola si sentì morire...la padrona con una spazzola la insaponava energicamente e le bolle di sapone volavano come tante farfalle trasparenti...la tortura era iniziata. Il bagno durò un bel pò e quando il maiale uscì dal mastello profumava di un disgustoso odore di violetta ed era rosa come un confetto. Sarebbe diventato lo zimbello della porcilaia.
Arrivarono poi la mucca e l'asino che vennero strigliati , insaponati e profumati a dovere. La tortura era finita!
Tutti e tre si ritrovarono sconvolti dietro il solito muretto dove iniziarono subito a litigare perchè l'asino sapeva di mughetto, la mucca di lavanda e così via...
Avevano davanti un altro anno prima di finire nuovamente dentro il mastello pieno di acqua bollente e profumata. Una cosa avevano però finalmente compreso: sporchi o puliti non erano mai contenti.
Adima Gabriela

lunedì 11 febbraio 2008

LEA e GERALDINA

Geraldina si svegliò presto, come ogni mattina, per andare a scuola. Dopo essersi stiracchiata si alzò e si preparò mettendosi il solito vestitino rosso. Fece colazione, salutò con un bacio affettuoso la sua mamma e si avviò lungo il sentiero alberato che congiungeva, con un breve tragitto, il villaggio alla scuola.
La mamma la seguì con lo sguardo, fino a quando la rossa figuretta non svanì dalla sua vista. Geraldina camminava spedita, ogni tanto saltellava e prendeva a calci i sassolini. Vicino ad un cespuglio sentì però dei rumori, come se qualcosa si muovesse in mezzo alle foglie.
Incuriosita si avvicinò e vide una piccola cornacchia che sbattendo le ali cercava di districarsi dai cespugli contorti. Delicatamente la prese e la posò sul sentiero. Dopo essersi accertata che l'animaletto non si fosse fatto male si allontanò. Improvvisamente una voce gracchiante le disse:"Grazie! Per favore però non lasciarmi qui!" Geraldina si girò perplessa e vide la cornacchia che la seguiva e parlava proprio con lei. "Sei tu che parli?" disse la bambina. "Certo! Chi vuoi che sia?" rispose la cornacchia. Geraldina perplessa la guardò senza profferire parola e la cornacchia seccata continuò:"Senti, smettila di fissarmi. Tutti gli animali parlano, ma solo alcuni umani possono capirli. Tu mi capisci! Che c'è di strano? Ora per favore portami con te. Mi sono smarrita, sono sola ed ho bisogno di amici."
Geraldina, un pò titubante, la sollevò e la mise dentro la borsa piena di libri dicendole:"Senti, io vado a scuola. Tu resta tranquilla dentro la borsa così la mia maestra non ti manderà via. In questo modo potrò sempre portarti con me." "Evviva!" rispose la cornacchia. Dopo qualche minuto di silenzio disse :"Mi chiamo Lea e tu?" La bambina rispose :"Geraldina."
Insieme arrivarono a scuola. Geraldina si sedette nel suo solito posto e Lea rimase dentro la borsa semiaperta. La bambina quel giorno seguì la lezione con maggior attenzione del solito perchè non voleva essere rimproverata dalla maestra e fare una figuraccia con Lea. Era infatti sua abitudine distrarsi durante le lezioni e mettersi a sognare ad occhi aperti.
Passarono i giorni e le settimane, Lea aveva imparato a leggere ed a scrivere con il becco e Geraldina era diventata una alunna curiosa e studiosa. Facevano insieme i compiti. Lea era brava in matematica ed aveva insegnato a Geraldina a risolvere velocemente i problemi con l'aiuto dei pinoli e dei bastoncini di legno. Geraldina leggeva invece le poesie così bene che spesso Lea si commuoveva ed i suoi occhietti vivaci si riempivano di lacrime.
La strana coppia si divertiva insieme agli altri bambini ad inventare nuovi giochi e le giornate trascorrevano veloci e serene.
Un giorno Geraldina non trovò Lea. Dovevano recarsi insieme a scuola, ma di Lea nessuna traccia. Dove era finita quella benedetta cornacchia? Lo sapeva che dovevano uscire insieme... Preoccupata si avviò lungo il sentiero, ma di Lea nessuna traccia...
Si senti chiamare:"Geraldina! Geraldinaaa!"
Era Lea! La bambina si voltò felice e vide la sua piccola amica insieme ad altre due cornacchie.
"Geraldina, ti presento i miei genitori. Finalmente mi hanno ritrovata!"
Geraldina salutò educatamente ma in cuor suo si sentì morire. Lea sarebbe andata via con i suoi genitori e lei avrebbe perso la sua piccola amica. Che tristezza! Subito pensò che non era giusto... poi si sentì un pò egoista per averlo pensato... dopo rimase solo frastornata.
"Geraldina, Geraldina, si può sapere cosa hai?" chiese Lea, che aveva percepito la tristezza della bambina. Geraldina non rispose ma sospirò in modo eloquente. Allora Lea le chiese :"Possiamo restare con te? Anche tu fai parte della mia famiglia. Costruiremo il nido accanto alla tua casa ed io e te continueremo ad andare a scuola. Gli amici sono importanti e tu per me lo sei davvero!"
La famiglia di cornacchie restò per sempre con Geraldina.
Adima Gabriela

martedì 1 gennaio 2008

LA BEFANA VIEN DI NOTTE...

La Befana era molto affaccendata. Correva da una parte all'altra, preparava pacchi e pacchetti, nastri e decorazioni. Lei non aveva gli gnomi come babbo Natale, ma una vecchia fantesca che non riusciva più a trascinare le gambe tanto era stanca di correrle dietro. Ma il gran giorno si avvicinava e tutto doveva essere perfetto: regali pronti, scopa revisionata, carbone lucido...insomma una gran fatica. La Befana essendo vecchina aveva qualche difficoltà a guidare la scopa. Durante il tragitto incontrava di tutto: dagli uccelli agli aerei che doveva scansare con estrema maestria. Rimpiangeva i tempi in cui tali modernità non esistevano, al massimo doveva evitare le aquile e qualche freccia. Ma torniamo ai preparativi. La Befana aveva lavato e stirato i suoi vestiti, i soliti da mille e mille anni, qualche rattoppo e voilà potevano ancora andare...Le scarpe invece no! La befana rimuginava una vecchia filastrocca e tra sè diceva:"Se becco chi ha sparso la voce che vado in giro con le scarpe rotte..!" Lei alle scarpe ci teneva tantissimo, ne aveva centinaia di tutti i colori ed ogni anno le cambiava per intonarle a qualche nuovo rattoppo del suo vestito. Una piccola civetteria alla quale non riusciva a rinunciare da mille e mille anni.
Mezzanotte del cinque gennaio: tutto era pronto, compreso l'elenco dei bimbi buoni, buonini, un pò cattivi e cattivissimi. Il carbone avrebbe fatto riflettere questi ultimi e magari il prossimo anno avrebbero ricevuto un bel regalo.
La Befana con un balzo da cavallerizza salì sulla sua scopa che partì come un razzo intorno al mondo dei bimbi. Ogni bimbo aveva appeso una lunga calza ai bordi del letto o sotto il camino aspettando con ansia la magica vecchina. Tutte le marachelle venivano ricordate nella speranza che la Befana, essendo vecchia, se le fosse invece scordate ...vana illusione ...che sonno...
Buona Epifania a tutti i bimbi!
Adima Gabriela