mercoledì 30 maggio 2007

PIRATI, CIOCCOLATA e CHA CHA CHA




L'isoletta di Cacau era in fermento: uccelli che svolazzavano da una parte all'altra, animali che correvano nella giungla, uomini che conversavano animatamente tra di loro. Gli unici normali erano i bambini che, come al solito, giocavano rumorosamente e allegramente rincorrendosi sulla spiaggia. E allora perchè tutta questa frenesia? Il motivo c'era perchè sulla spiaggia si stava avvicinando il vascello del pirata Bruttomuso che, con il suo mozzo fantasma, approdava come al solito nell'isola, per depredarla dei semi di cacao.
Bruttomuso oltre ad essere veramente brutto era alto quanto un ratto messo in piedi. Allora perchè gli abitanti avevano paura di un simile soldo di cacio e di un fantasma caduto in disgrazia tanto tempo fa? Il problema era che il mozzo fantasma, cacciato via in malo modo dal regno degli stregoni , aveva inventato una polverina magica della quale si serviva regolarmente Bruttomuso per le sue razzie. Appena il vascello attraccava vicino alla spiaggia Bruttomuso imbracciava la sua spingarda e sparava la polverina magica: alcuni attimi dopo tutti gli abitanti, ma proprio tutti, compresi i lombrichi, venivano presi da una irrefrenabile voglia di ballare il cha cha cha; ballavano per ore e ore finchè stremati cadevano a terra e dormivano per giorni interi ed il pirata, aiutato dal fantasma, rubava indisturbato tutti semi di cacao dell'isola e spariva.
Bruttomuso infatti era così ghiotto di cioccolata che la usava perfino per farsi il bagno ed il cacao degli isolani era il migliore in assoluto, oltre ad essere famoso, per la sua bontà in tutte le altre isole del mondo.
Ma torniamo a Cacau. Non appena il vascello attraccò tutti gli isolani, impauriti e ormai rassegnati al ballo forzato, aspettarono nascosti fra le piante che la pestifera spingarda sparasse la polvere ballerina. Passarono alcune ore, poi ancora altre ed altre ancora ma nulla accadde. Come mai Bruttomuso non si vedeva? Gli uccelli, impauriti, si consultarono con il grande uccello Nero che a sua volta si incontrò sia con gli umani che con gli animali della giungla: tutti d'accordo, decisero di mandare, durante la notte, due serpenti dentro il vascello, per capire come mai Bruttomuso non si fosse ancora fatto vivo. Temevano infatti che il pirata stesse escogitando qualche brutto scherzo!
I serpenti, a notte fonda, strisciarono, quatti quatti, dentro il vascello ma non videro nessuno. Quando si erano ormai convinti che non ci fosse anima viva sentirono dei rumori provenienti dalla stiva, un tip-tap continuo e costante....
Si avvicinarono alla finestrella e videro Bruttomuso che ballava senza mai fermarsi mentre il mozzo fantasma rideva a crepapelle! Capirono che il pirata, per errore, si era sparato addosso la polvere ballerina rimanendo così vittima della sua stessa cattiveria! I serpenti, approfittando dell'insolita occasione, lo avvinghiarono mentre continuava a dimenarsi e lo portarono davanti a tutti gli abitanti di Cacau che , a quella scena, scoppiarono tutti a ridere. Il mozzo fantasma, che alla vista dei due serpenti era scappato di gran carriera, sparì per sempre portando con sè la magica polvere.
Bruttomuso rimase sull'isola di Cacau ed aiutò gli abitanti a coltivare i semi di cacao. Dopo tanto tempo si mise a preparare delle buonissime cioccolate e riuscì a diventare amico degli isolani.
Egli trasformò il vascello, ormai fermo sulla spiaggia, in una cioccolateria, ma mai e poi mai levò la bandiera pirata dove era disegnato il suo brutto grugno.
adima gabriela

sabato 26 maggio 2007

LA FATA SVAMPITA


La Regina delle fate era furibonda! Quel giorno un elfo, trattenendo a stento una risata, le aveva riferito che nel bosco giravano degli strani animali colorati: un pesce con le orecchie da coniglio ed i piedi ed un coniglio con il becco di un uccello ed il corpo di un orso.
Il pesce trascinava lentamente i suoi piedoni, calzati in un paio di scarpe, lamentandosi che gli facevano male perchè, vista la sua natura, non era abituato a camminare; il coniglio aveva serie difficoltà a rosicchiare le carote con il becco adunco ed inoltre, non riuscendo più a correre e saltare per la sua mole, stava diventando troppo grassottello!
La Regina delle fate sapeva fin troppo bene che l'artefice di tale disastro era la fata Svampita.
Quella fata, oltre ad aver combinato una serie di disastri, era riuscita a far ridere a crepapelle perfino gli orchi, loro eterni nemici, per i suoi ridicoli esperimenti di magia ; per non parlare poi degli umani che, come vedevano Svampita, scappavano a gambe levate, temendo di essere trasformati chissà in quali bestie strane!
La Regina mugugnava tra sè che Svampita non era una cattiva fata, ma la sua distrazione e la sua confusione con le formule magiche, avevano ormai reso ridicolo il fantastico mondo delle fate. Per non parlare poi dell'abbigliamento! Invece di vestirsi di azzurro, come tutte le fate, lei andava in giro per i boschi con i vestiti così colorati che anche le talpe, in piena notte, riuscivano a vederla.
La Regina delle fate, dopo aver bofonchiato a lungo su tutta la situazione, decise che era ora di richiamare Svampita all'ordine. La convocò urgentemente e lei arrivò, come sempre, con la testa fra le nuvole ed inciampando a più non posso. Naturalmente non si ricordava di aver creato degli strani animali e pertanto le fu un pò difficile capire le lamentele della Regina . Quando si rese conto della situazione si offrì di rimediare al danno ma la Regina, alzando gli occhi al cielo e sospirando a più non posso, le disse che per fortuna aveva già provveduto lei a far riprendere ai poveri animaletti le loro vere sembianze.
La Regina informò Svampita che per un pò di tempo non avrebbe più avuto la sua bacchetta magica e la rispedì di gran carriera alla scuola di Magia e Attenzione del gran Gufo Bador !
Povera Svampita! Fu un duro periodo per lei! Tutti i giorni studiava e si impegnava con le formule magiche ma la distrazione...quella era proprio difficile da combattere ! La Regina delle fate, che aveva ormai perso le speranze, ebbe un'idea: rese a Svampita la sua bacchetta magica e le chiese di occuparsi del giardino fatato dove, almeno ,non avrebbe combinato dei disastri....
Passarono alcuni mesi e la Regina delle fate decise di vedere cosa stava combinando Svampita con la sua pestifera bacchetta magica. Entrò nel giardino fatato e rimase abbagliata dai bellissimi e stranissimi fiori e dai loro colori meravigliosi: non aveva mai visto un giardino così bello e diverso da tutti gli altri giardini fatati. Capì che solo la distrazione di Svampita e la sua confusione con le formule magiche avevano reso possibile tutto ciò !
Svampita fu nominata, con sua grande felicità, Regina dei fiori e si occupò da allora in poi solo di loro con grande confusione e distrazione. Il successo fu garantito!
adima gabriela

mercoledì 16 maggio 2007

RAVAL

Raval era un antico villaggio, circondato da alte montagne e verdi prati. Nonostante l'apparente serenità, a Raval, da un pò di tempo, la discordia era di casa.
Gli abitanti del villaggio, i De Gufis ed i Civettonis, che fino a poco tempo prima erano buoni amici, erano passati alle vie di fatto: dispetti, insulti, calunnie...insomma una situazione veramente difficile!
Nessuno riusciva a pacificare gli animi da quando un Civettonis, per distrazione, aveva mangiato un verme che apparteneva ai De Gufis!
Il villaggio, proprio a causa di tale sciocchezza, si era praticamente diviso in due fazioni.
Gli unici felici erano i figli dei due litigiosi gruppi; giocavano tranquillamente e non si preoccupavano delle beghe dei loro genitori.
Un bel giorno, dopo una delle solite litigate, i Civettonis e i De Gufis decisero di costruire un muro di rami secchi e fango per dividere il villaggio a metà e separarsi definitivamente .
Nessuno di loro aveva però fatto i conti con i propri figli! Questi ultimi appena capirono le intenzioni dei loro genitori, unirono le loro piccole ali e fecero una catena di gufetti e civettini per impedire la costruzione del muro. Loro non volevano separarsi !
Sia i De Gufis che i Civettonis compresero che i loro piccoli figli erano sicuramente più saggi di loro. Decisero pertanto di riappacificarsi dopo essersi chiesti reciprocamente scusa.
Il villaggio di Raval riprese finalmente la sua vita normale e la serenità , da allora in poi, non fu più apparente.
Raval fece onore al suo nome, coniato dagli abitanti del villaggio con le iniziali di alcuni colori quali il rosso, l'arancio, il verde, l'azzurro, il lilla. Mescolati tra loro davano origine ad un unico ed indivisibile colore: quello dell'amicizia.
Adima Gabriela

venerdì 4 maggio 2007

LA TELA DI PENELOPE

Penelope era un ragno che viveva dentro una buia caverna insieme a tanti altri ragni. Penelope era diversa dagli altri ragnetti: romantica, sognatrice, insomma un po' eccentrica!
Mentre tutti i ragni tessevano la loro tela come natura comanda, lei invece no! Si era fissata che la sua tela doveva assomigliare ad un'opera d'arte e così tesseva ricami e fronzoli che colorava con i colori dei fiori. Risultato: gli insetti che doveva acchiappare scappavano tutti perchè i ricami colorati svelavano l'esistenza della tela. Penelope aveva per questo motivo sempre fame. Gli altri ragni, quando la vedevano affamata, le procuravano il suo cibo preferito: insetti e piccole larve. Appena Penelope sbatteva i suoi occhioni e sospirava gli altri ragni capivano che il suo stomaco brontolava.
Un giorno la tela di Penelope fu apprezzata da un grasso e ricco ragno che, per ricompensarla di tale bellezza, le regalò una tela piena di miriadi di insetti, affinchè lei potesse continuare a ricamare senza doversi privare del cibo.
Penelope divenne un ragno famoso e non si scordò mai dei suoi amici della caverna.
Adima Gabriela

giovedì 3 maggio 2007

IL PICCOLO FOLLETTO VERDE

Il piccolo folletto verde viveva in mezzo ai prati nascosto tra l'erba. A volte nessuno lo poteva vedere perchè si mimetizzava perfettamente con i fili d'erba.
Quando arrivava la primavera iniziava un periodo di gioco e di felicità per il folletto. Poteva intrufolarsi dentro i petali dei fiori profumati e divertirsi a fare gli scherzi alle farfalle e alle api che si cibavano del nettare. Gli piaceva in particolare soffermarsi sotto gli alberi di ciliegio in fiore. Quando c'era un po' di vento i petali delicati dei fiorellini di ciliegio cadevano sul prato alla rinfusa. Il folletto raccoglieva tutti i petali e costruiva un soffice lettino dove faceva il pisolino pomeridiano. Poi si svegliava e aspettava le amiche farfalle e le api che gli portavano un po' del nettare dei fiori. Tutti insieme si sedevano comodamente sulle foglie e facevano la merenda ridendo e scherzando.
Il folletto era felice e pensava di essere molto fortunato a vivere nel prato pieno di fiori freschi e profumati, circondato da amici sinceri.
Era piccolo piccolo ma aveva un cuore grande pieno di felicità. E questa era la sua più grande ricchezza.
Daniela